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E’ l’anno degli scritti e del leggere, il vero leggere: libro di carta, nessuna tecnologia attorno e foglio per prendere appunti e commentare. Radio spenta, computer depositati in luoghi ameni ed irraggiungibili, nessun telefono, nessuna connessione ad internet. Ci si piazza davanti ad un libro e lo si legge. Tutto cominciò con il gran ritorno delle librerie: le varie Feltrinelli, la libreria della Stazione Termini, quella dell’auditorium ed anche la fedele biblioteca Enzo Tortora che mi ha sempre accolto per consegnarmi e ricercare i libri che desideravo. Nulla sarebbe cominciato però se quel mattino alla libreria della Stazione Termini, un volume blu attira la mia attenzione: “I Mistici d’Occidente”: una raccolta ben fatta di tutti i più rilevanti Mistici Cristiani. Noto subito nel modo in cui gli autori vengono presentati, uno stile trascendentale, una musicalità nello scrivere che cattura e porta in luoghi difficilmente raggiungibili con la voce atona di cui ormai tutto è composto. Il suo nome è Zolla, Elemire Zolla. Lascio il volume e proseguo con la mia solita lunghissima ispezione alla libreria: tacquino in mano segno i desideranda; libri che mai acquisterò ma in qualche modo gia possiedo avendone il titolo archiviato. Giorni dopo capita una cosa simile ma con un’altro volume e l’autore è lo stesso. Il libro “Le Tre Vie”. Le spore di Zolla sono uniche, intuisco che la stella mi sta indicando un cammino e giungo, dopo una piccola ricerca, alla meta: Storia del Fantasticare. Autore? Zolla, si capisce. Mai visto un libro del genere: lo stile critico e demolitore di una mente affilata che mi pare quella di un ricercatore antimassonico, antiilluminati. L’oggetto della critica non è però un gruppo politico o una setta segreta che governa il mondo ma una tendenza umana: la fantasticheria. Fantasticare.. che parola inusitata e nuova. Suona come fantasticare ma molto, molto peggio. Questo libro si allinea perfettamente con le ricerche che portavo avanti in quei giorni: Dio (quello che non parla a vanvera ma impone leggi), i protestanti. Nessuna delle persone che in strada puoi incontrare definirà Dio come un computer che premia chi segue i comandamenti e punisce chi li viola. Tutti desiderano la roba d’altri, tutti qui a Betulla, desideriamo le donne d’altri, tutti qui in occidente ed in oriente, oggi, non onoriamo il padre. Cos’è Betulla? Bè un termine che Zolla mi suggerisce parlando del mondo feriale, un mondo fatto di gente che vive per produrre denaro e crede che il Mondo sia quello. Gente distratta che vive nelle onde beta, disarmoniche, superficiali, spazzabili via da chiunque sappia inviare impulsi appena appena piu consapevoli e profondi; gente manipolabile e quindi inconsapevole. Comincio a scrivere di Betulla (poi scoprirò che la Betulla è l’albero sacro degli sciamani). Leggo Storia del Fantasticare in poche ore. E’ scritto da uno scrittore, uno che ama ed insegna la letteratura contemporanea e antica; è Zolla, e demolisce Raousseou, Joyce, tutti quanti gli autori nati dopo l’illuminismo. Gente imbevuta ed inzuppata nel peccato. Quale peccato? Il fantasticare, la mente trasognata, il vaneggiare. Non si tratta di folli conclamati ma di gente applaudita per le doti fantastiche. Ghoete persino è messo in una zona liminale, fra follia demenziale e assennatezza. Tuttavia viene salvato: Ghoete è quello dell’esercizio della rosa, dell’immaginazione contraria alla fantasticheria, quello simile a Yeates. Il mio fascino per Joyce viene finalmente accudito dalle demolizioni Zolliane perchè si, Joyce mi affascina, ma dinnanzi alle docce fredde del crudo mondo moderno, mi pare un idiota che spinge all’idiozia. Forse una ricerchina in qualche libro di testimoni di Geova mi avrebbe potuto donare libri simili ma non certo in quanto a stile e quanto a… bè: Zolla non è un testimone di Geova o un protestante o un materialista che si rifugia in sette di predicatori. Zolla è quello che parla del Tantra indiano e, in certi libri, sembra esaltare proprio cio che in Storia del Fantasticare demolisce. E’ un’autore complesso: come nessuno parla delle doti dell’immaginazione e delle sette mistiche di folli in Cristo o di tutti quei matti asceti che si forzano a trasognare un mondo sottile. Ecco l’autore che fa per me, non uno che sbrodola parole ma uno alla reale ricerca del discernimento: uno che sminuzza la merce mentale ondeggiando un po al di qua e un po al di la della materia da scomporre.

Esco per un momento dall’elogio di questo mio nuovo beniamino e vi parlo di cio che produco, leggendo questo autore. Si: affianco a queste letture – quelle di tutti i suoi libri – la lettura di Adler, Gurdjieff, Burton (quello di Anatomia della malinconia). Scopro insomma la lettura, quella vera: lo studio. Studiare è una cosa che mai ho davvero fatto. Nessuno autore era riuscito a farmi vedere che nel mare di sbrodolatori che scrivono c’è ogni tanto un’isola fatta di autori che criticano e vedono le cose fuori dalla smielatezza conformizzante o dalla critica antisociale puramente materialista. Zolla demolisce Adorno, demolisce tutti e allo stesso tempo ti fa capire! Scrivo interi volumi immaginando di far incontrare tutti gli autori che leggo. Nella mia mente ci sono molti conflitti. Zolla ne ha placati molti, quelli storici, ha unito l’immaginazione all’antimmaginazione, il materialismo necessario al discernimento, alla spiritualità radicata. Scopro la tradizione. Scrivo questi trifolati mentali, scrivo molto. Simultaneamente disegno molto. Anzi, prima disegno e poi scrivo. E poi disegno e di fianco al disegno scrivo. Compongo diversi volumi e quando si fa primavera mi vien voglia di uscire allo scoperto, di condividere, di incontrare persone ma sopratutto: sperimentare ancora con “Nove”, il topolino mentale che immagino seguirmi come il coniglio di Alice. E’ la stella che organizza sincronicità tutte intorno a me. Anzi è la Stella che organizza tutto cio che accade, quella che strilla contro la folle idea Junghiana della sincronicità come momento “eccezionale” in cui piu strade si incontrano. Tutto cio che è attorno è sincrono. La realtà è fatta della materia dei sogni. Nessun oggetto è slegato dal racconto appena subliminale che viviamo nel cuore. Un’analisi paranoica dei segni ci porterà a scoprire la gabbia cucita attorno a noi. Per dirne una: esco di casa con l’intento di ricominciare a disegnare i segni che vedo, li per li, in presa diretta. Il mio sguardo si fa affilato, punto un veicolo che sta per svoltare su circonvallazione ostiense: Boom! Incidente. Dove ci sono incidenti, c’è la voce della stella: sta dicendo “guarda di cosa sono capace”. Segno targhe, volti di persone, numeri, cerco concatenazioni e mi rafforzo nell’illusione di essere uno che vede. Un’illusione che mi porta in trance e mi protegge, una trance da cui posso entrare ed uscire. DISEGNO

Questo diario va avanti appena qualche giorno e mi sento spinto a ricominciare il lavoro in metropolitana: voglio spacciare i miei disegni. Ma il mondo in cui viviamo è squallido. L’anno scorso sembra l’antichità a confronto. Gente con il muso deturpato da graffi politici. Gente che non respira con la bocca, che ansima. Gente che chiama “mascherina” il graffio che il sadico padrone fa sul loro volto. Mi aiuta De Sade a capire cosa sta succedendo: un orgia tra schiavi lussuriosi masochisti, e sadici governanti anchessi schiavi della fantasticheria ma sadici, carnefici. Idioti. Non posso lavorare certo in metropolitana, non posso anch’io farmi graffiare da un ente che sento profondamente handicappato: la società, il sistema, Betulla. Mi tengo fuori da queste celebrazioni escrementizie. Creo un box di legno, una micro wunderkammer – DISEGNO – e me la porto in giro su un tavolino. La piazzo nei parchi e attraggo la gente. Ragazze si avvicinano, parlo. Faccio loro il sigillo del nome, consegno fogli di carta antica, raccolgo le loro domande e, giunto a casa rispondo con lettere che chiaramente non ho occasione di condividere ma fa lo stesso: il fuoco immaginale resta acceso.

Siamo a pochi giorni dalle rapide evoluzioni di questo schema. Il box è troppo pesante, la bici fa traballare. Resta il tavolino, va via l’ingombro. Giro di qua e di la ma presto mi fermo su un ponte: quel ponte che guarda dritto dritto all’isola. Isola in cui mia madre fu a vivere per diversi anni. L’isola dell’ospedale Fatebenefratelli. E’ il ponte sisto. Nome che ricorda “sesto” e sei. Musicisti coraggiosi sfidano di tanto in tanto il cimitero globale di passanti graffiati dalle maschere, ammutoliti e stereotipati: pixel appena appena incarnati. Suonano. Io sto li, tutto il giorno sul ponte, col mio panchetto, a proporre la Piccola Scuola di Magia. A toccare mani di sconosciute, a passare attorno a loro un filo d’oro, a mostrare i disegni ben incorniciati ed a venderne alcuni. Diversi amici faccio, molti ogni giorno passano e si fermano al mio panchetto artuadiano cosi lo definisce un tizio che passeggia in pantofole e si definisce psicoanalista: è zoppo come saturno.

Passano mesi, faccio qualche soldo, l’avventura muta di giorno in giorno. Il banchetto si rompe, alleggerisco ancora: solo la bici. Quando stacco la bancarella impugno il megafono e strillo correndo in bici. Posso permettermi grazie alla poesia di toccare i passanti, accarezzare le belle ragazze con la parola “queste parole ti toccano e ti penetrano scalzando la seta dei tuoi ricordi”… ed intanto le guardo le cosce e quella ride, e pure il suo ragazzo che capisce l’ingenuità dei miei esperimenti. Il megafono intanto si fa poesia e la poesia diventa un martello con cui demolisco alcatraz, il mondo che vedo attorno. Questa è la mia critica e se nessuno la capisce, il mondo sia dannato. Non si cura un malato schiaffeggiandolo. La mia voce non si adatta al masochismo del mondo: poesia resti.

Sommo le cose: megafono e tavolino. Sul ponte incontro Fujjask, la personificazione vivente del danzatore prossemico. Un tizio che ho incarnato per diversi anni nella mia fantasia. Un tizio libero che si imbeve della magia del contatto umano senza però restare incastrato in formali incontri, saluti, presentazioni. E’ uno che vive in strada, cioè uno che è stato cacciato via da tutti i luoghi e he la strada ha accolto con un bel gradino di pietra. E’ un profeta, un apocalittico. Danza – DISEGNO – e dice cose che pochi prendono sul serio. Lo credono matto. Mi racconta che vedeva i fantasmi, che gli hanno fatto l’elettroshok, che ama una profetessa, che spesso l’amore per Cristo arriva simultaneo a tanti elogi al Diavolo: il posseduto sacro non sa discernere ma s’avvicina a Dio.

La bici viene ribaltata, appoggia sul pavimento del ponte. La tastiera che ho acquistato suona un loop ripetuto. Sulle due ruote ci sono due libri: uno moderno sulla destra, l’apocalisse di Giovanni sulla sinistra. Uno moderno a destra, uno antico a sinistra. Leggo Artaud inframezzato dalle quartine di Nostradamus. Antico e moderno si incontrano. La clessidra granello dopo granello avvicina il silenzio alle declamazioni. Quando è completamente svuotata interrompo le mie parole. Il megafono si spegne. Lancio di scatto un’oggetto avanti e poi m’alzo. Con un gessetto segno i passi dei calpestatori fino a raccogliere l’oggetto. Ne resta una traccia poi guardo il cielo e la cerco anche li. Torno dietro la bici e disegno la traccia. La parola sacra riempie quello spazio riempiendone il tempo. Questa è una performance o se meglio vogliamo dirla: in un rituale degradato – pur sempre sacro.

Poi via via mi stanco. Il caldo è insopportabile. La bancarella s’è trasformata diverse volte. E’ diventata anche un luogo per riti patafisici. Afferri la mano di una ragazza che balla al ritmo dei fankallisto: le metto un martello ed un uovo in mano: <<Poggia l’uovo su questa miniatura del colosseo e spaccalo col martello>>. Si scheggia la statuina, l’uovo spalmato per terra. Raccolgo cio che posso con un gesto brusco e lo schiaffo in un barattolino di vetro che le consegno. <<Hai rotto la cultura: vada al culo il colosseo, l’arte non è il potere>>. Faccio tavole di tutti questi feticci, ne conservo il ricordo e ne scrivo sui diari, ne disegno sugli album. Ma fa caldo, tanto caldo. I guadagni sono pochi. Gli amici li ho conosciuti ma ormai non mi s’avvicinano più. Ho ritrovato la mia dimensione, non necessito appoggi. Lascio la bancarella, lascio l’avidità, al culo anche le monetine. Vivrò di nulla.

Siamo ai mesi delle zanzare. Dormire in soffitta è impossibile. Dormo qualche ora e poi sbuco fuori. Col mio album ed i miei libri appresso. Leggo e scrivo, scrivo e leggo. Disegno alcune analisi di Bosch – DISEGNO – e Dali. Scrivo, scrivo ancora. E faccio poesia. Ripeto con intenzione sempre piu compenetrata una parola. Ne bastano tre per cambiare l’atmosfera. Scopro un potere che descrivere sarebbe impossibile. Basta sedere sotto un’albero e pensare profondamente una parola, ripeterla lentamente, sentire tutti i mondi che traghetta. Gli ebrei collezionavano mondi in lettere. Rallentare la dizione significa vederli, vedere come l’immagine insegue il segno, cercando di incarnarsi in una parola. In una parola decina di immagini. La pronunci e hai modificato lo spazio.

Intanto librerie e parchi e zanzare. Leggo e scrivo, scrivo e leggo ma fa caldo, tanto caldo ed il mare l’ho visto poco. Vado qualche giorno ad Ostia e poi a Ladispoli. Mi faccio la tessera d’abbonamento per girare il Lazio. Se sono povero viaggerò cosi: conoscerò luoghi che non conosco, andrò via da Roma, voglio vivere in paese, sotto un’albero, nella tranquillità.

Conosco una donnina ingabbiata nel suo laboratorio artistico: è Vetralla. Mi promette di mostrarmi un suo rustico a Bolsena, è stato sfondato il tetto <<ma possiamo sistemarlo>>. Se lascio Roma, i pensieri anche lascio. Girare: tornerò a viaggiare. Ma che dico: non viaggerò mai ma lascerò Roma. Compro una macchina. Ho soldi sufficenti per trovare una carretta ma è necessaria: il mondo si fa sempre piu stretto e quando i graffi politici vorranno avvicinarsi troppo, io sarò gia altrove, a bordo della macchina – che ancora non ho acquistato.

La ricerca mi porta ad Armando: un ottantenne che non vuole rinnovare la patente, un povero gigante uomo che la Stella mi ha portato. Il suo mestiere è il mio: antiquario e rigattiere: trasporta mobili nella sua Focus e poi li rivende. Ed il suo civico? La Stella non sbaglia: è il mio.. aveva il magazzino in Via dei Cartari, la Via in cui son stato a dormire un’anno intero – fu il 2010 (anche l’11, il 9 e l’inizio del 12).

Siamo a Ottobre, ho girato il lazio. Adesso ho un’auto, ferma perchè non ho soldi per l’assicurazione. Ma posso lavorare senza zanzare, posso lavorare al caldo, posso lavorare guardando gli individui passeggiare, posso scrivere e pensare. La macchina si trasforma in un camper. Cucino, mangio, vivo al suo interno. E viaggio. Viaggio l’Italia. Una porzione di essa. Piccola. Viaggio per un mesetto buono ed è novembre. Scrivo ancora, leggo un po meno. Nessun telefono, nessun internet, nulla. Passeggio, scrivo, penso e vivo la noia come un sacro scalpello che a suon di tedio frammenta i miei attaccamenti.

Viaggio e viaggio ancora e poi torno, dopo due anni, a salutare il mio doppio, il mio collega ed il lignaggio che mi abita dentro. Superfluo forse, incontrare una parte che si è. Vivere la simpatica esperienza di vedersi dal difuori: vado a salutare mio padre. Mangiamo, scherziamo e ridiamo. Vivo – un bel po angosciato – nell’unica stanza che mi resta della vecchia casa. Capodanno lo passo in macchina, scrivo e leggo. Leggo e scrivo.. ma questa è un’altra storia e ne parleremo l’anno prossimo.

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